ELEZIONE
Giovanni Gronchi è eletto il 29 aprile 1955 al quarto scrutinio, con 658 voti su 833. La seduta è caratterizzata da un fatto singolare: in qualità di presidente della Camera, Gronchi legge a voce alta le schede. Quando il suo nome raggiunge il quorum richiesto, si interrompe per un istante e prosegue; poi, con una certa tensione nella voce, prega il vice presidente della Camera, Giovanni Leone, di procedere nello scrutinio e di proclamare il risultato. Fra gli applausi si alza ed esce dall’Aula. Subito dopo l’elezione, il Presidente della Repubblica Luigi Einaudi invia al successore un telegramma di saluto e di augurio per “l’opera che il Parlamento l’ha chiamato a compiere”, al quale Gronchi risponde “a Lei maestro di cultura e di vita, saggio reggitore del nostro Paese, con l’immodesta ma fervida ambizione di continuare l’esempio”.
GIURAMENTO E
CERIMONIA DI INSEDIAMENTO
L’11 maggio il Presidente eletto Gronchi giura davanti alle Camere riunite a Montecitorio e pronuncia il suo primo discorso. Al termine si reca al Quirinale dove ha luogo la cerimonia di insediamento: il Presidente uscente Luigi Einaudi gli rivolge un breve indirizzo, porgendo un amichevole saluto e un affettuoso augurio “nel nome della patria e nello spirito degli ordinamenti dei quali Ella è da oggi supremo custode”. Anche Gronchi, come il predecessore, si affaccia al balcone del Quirinale per salutare la folla che lo acclama dalla piazza.
MESSAGGIO
AL PARLAMENTO
NEL GIORNO
DEL GIURAMENTO
Il messaggio al Parlamento pronunciato da Gronchi – circa quattro volte più lungo di quello di Einaudi – è un vero discorso programmatico di come intenderà svolgere il ruolo di Capo dello Stato. Il nuovo Presidente della Repubblica indica quale sarà il leit motiv del settennato: l’attuazione della Costituzione, sia attraverso l’attivazione di tutti gli organi rimasti ancora sulla carta (tra tutti Corte Costituzionale, Consiglio Superiore della Magistratura e Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro) e dell’ordinamento regionale nel suo complesso, sia mediante l’adeguamento della legislazione e del costume. Dopo aver ricordato l’opera di ricostruzione dello Stato avvenuta con De Nicola e Einaudi, Gronchi parla esplicitamente di una “nuova fase del nostro cammino”, in cui “nessun progresso vero si realizza nella vita interna di ciascuna nazione e nei rapporti internazionali senza il consenso e il concorso del mondo del lavoro”, lottando per l’eliminazione della disoccupazione: da questo passaggio traspare chiaramente la formazione giovanile di Gronchi nel cattolicesimo sociale di Romolo Murri, volto all’elevazione e alla difesa delle classi lavoratrici, e la sua partecipazione alle organizzazioni sindacali cristiane già prima del 1915. Gronchi infine assicura la garanzia del pieno esercizio della libertà individuale e la necessità di un’azione moralizzatrice della politica, auspicando la vicinanza del Parlamento, “massimo istituto di libertà e di democrazia”, per compiere quanto la Costituzione gli impone.