IL PRESIDENTE
E LE "ESTERNAZIONI"
Francesco Cossiga è uno dei politici italiani più longevi, con una carriera duratura e prestigiosa. All’inizio della sua Presidenza, per almeno i primi quattro anni e mezzo, si muove con molta discrezione, rigoroso nell’osservanza delle forme dettate dalla costituzione, prudente anche se non passivo, attento al buon funzionamento della macchina istituzionale. Evita qualsiasi contrasto con i partiti che avrebbe potuto destabilizzare la situazione politica. Raccoglie consensi quasi unanimi per la sua interpretazione del ruolo presidenziale “notarile”, ma che tiene conto delle innovazioni di Pertini riportandole però in un contesto più istituzionale. La caduta del muro di Berlino, il 9 novembre 1989, segna l’inizio della seconda fase del suo settennato. A parere di Cossiga la fine della guerra fredda e della contrapposizione dei due blocchi in cui è diviso il mondo determina un profondo mutamento anche del sistema politico italiano che nasce da quella contrapposizione ed è a quella funzionale. Di fronte a una situazione di immobilismo e all’incapacità di rinnovamento della classe politica, anche al cospetto di una trasformazione epocale come il crollo del muro, sente la necessità di stimolarla a un autorinnovamento e a una assunzione di responsabilità. Nei due anni finali della sua Presidenza fa quindi ampio uso del “potere di esternazione” e della vasta gamma di interlocuzioni presidenziali – interventi pubblici, interviste, discorsi, dichiarazioni, messaggi – con toni forti, nella forma e nella sostanza, spesso accorati. Comincia con un attacco al CSM nel marzo del 1990 verso il quale, come dice, deve togliersi qualche “sassolino dalla scarpa”. E continua poi le sue incursioni contro le forze politiche: in una fase di declino dei partiti tradizionali, non perde occasione per chiedere riforme significative del quadro politico e istituzionale. Lo scontro con i partiti politici viene acuito dal caso “Gladio”: nell’autunno del 1990 viene scoperta una struttura militare clandestina creata nel dopoguerra per contrastare un’eventuale invasione sovietica. Andreotti ne ammette la passata esistenza e Cossiga se ne assume la responsabilità politica assicurandone la legittimità. Si giunge, nel dicembre del 1991, alla richiesta da parte del Partito democratico della sinistra, erede del Partito comunista, di messa in stato di accusa del Presidente per attentato alla Costituzione. Cossiga si autodenuncia alla magistratura ordinaria e dopo tre anni di istruttoria, è prosciolto. Si dimette polemicamente il 25 aprile 1992 con un discorso commosso alla Nazione, trasmesso in televisione a reti unificate, della durata complessiva di 45 minuti. “…ho preso la decisione di dimettermi…Spero che tutti lo consideriate un gesto onesto, di servizio alla Repubblica”. Si dimette perché – dichiara – si sente “un uomo solo”. “Talvolta ho anche gridato, ma se ho gridato l’ho fatto soltanto perché temevo di non farmi sentire”. E ancora “…occorre un Presidente forte, forte politicamente e forte istituzionalmente…E io non sono un Presidente forte”. E conclude con un ultimo accorato appello: questo, dice “…è un Paese di immense energie morali, civili e religiose. Si tratta di saperle mettere assieme e si tratta di fondare delle istituzioni che facciano sì che lo sforzo di ognuno vada a vantaggio di tutti”. Lascia quindi il Quirinale con anticipo rispetto alla data prevista del 3 luglio. L’atto di dimissioni è firmato il 28 aprile.
I GOVERNI
Nel settennato Cossiga si avvicendano sei esecutivi: il II Governo Craxi, il VI Governo Fanfani, i governi Goria e De Mita e il VI e il VII Governo Andreotti. Nel luglio 1986 la crisi della maggioranza porta a un secondo governo Craxi, nato sulla base di un patto informale – il cosiddetto “patto della staffetta” – stretto tra le due figure principali della politica italiana dell’epoca, appunto Bettino Craxi e Ciriaco De Mita. In forza di questo patto il governo assegnato a Craxi per il primo anno, doveva poi passare ad un democristiano fino alla fine della IX legislatura. De Mita è tra i responsabili della caduta di Craxi colpevole, secondo lui, di aver rotto il “patto della staffetta”. Le dimissioni di Craxi sono formalizzate il 3 marzo e, a seguito del primo giro di consultazioni, è dato l’incarico ad Andreotti, il quale rinuncia il 25 marzo. Due giorni dopo viene affidato un mandato esplorativo a Nilde Iotti, Presidente della Camera dei Deputati, primo mandato ad una donna. La Iotti fallisce e il 1° aprile il Presidente rinvia il Governo Craxi alle Camere, ma il 9 aprile, dopo il dibattito al Senato, Craxi si reca al Quirinale per reiterare le dimissioni del Governo al Presidente della Repubblica. Cossiga conferisce l’incarico a Oscar Luigi Scalfaro, che, non trovando una maggioranza, il 14 aprile rinuncia e l’incarico passa a Fanfani. Dopo un breve governo Fanfani VI di fine legislatura, dopo lo scioglimento anticipato della IX legislatura e le successive elezioni del 14-15 giugno1987, si ha l’altrettanto breve Governo Goria, a tutt’oggi il più giovane Presidente del Consiglio dei Ministri italiano. A seguito delle dimissioni di Goria, l’11 marzo 1988, il Presidente Cossiga chiama a formare il nuovo governo De Mita: il 13 aprile 1988 nasce un pentapartito con socialisti, socialdemocratici, repubblicani e liberali, che rimane in carica un po’ più di un anno. Un grave episodio contrassegna i primi giorni di questo Governo: il consulente per le riforme istituzionali di De Mita, il senatore democristiano Roberto Ruffilli, è assassinato dalle Brigate Rosse perché ritenuto “vero e proprio cervello politico del progetto demitiano”, come riportato nel volantino della rivendicazione delle B.R. Nell’estate del 1989 il Governo De Mita entra in crisi. Cossiga dà l’incarico di formare il nuovo governo ad Andreotti. Il 23 luglio 1989 prende vita il VI Governo Andreotti, un pentapartito basato sulla collaborazione fra democristiani e socialisti. Parecchi fin da subito i motivi di controversia nel nuovo Governo. L’approvazione della prima legge sull’immigrazione (“Legge Martelli”), fenomeno che in quegli anni comincia a manifestarsi in tutta la sua complessità, la legge sulle televisioni private (“Legge Mammì”) – dopo la fine del monopolio Rai – che provoca l’uscita dal governo dei democristiani di sinistra e un veloce rimpasto per superare la crisi. Crisi che giunge nel marzo 1991, dopo una polemica sorta tra il Presidente Cossiga e il Partito repubblicano. L’incarico è di nuovo dato ad Andreotti: nasce il VII Governo Andreotti, un quadripartito formato da Democrazia Cristiana, Partito socialista, Partito socialdemocratico e Partito liberale, senza i repubblicani. Sono mesi difficili e agitati: come si è detto viene alla luce l’esistenza dell’organizzazione Gladio. Nei due governi Andreotti un ruolo di primo piano è occupato dalla politica estera, dati i profondi e spesso drammatici cambiamenti della situazione internazionale: crollo del muro di Berlino, crisi dei Balcani, Guerra del Golfo, e soprattutto dissoluzione del blocco comunista. Sono anche anni di svolta per la Comunità Europea che culminano con il Trattato di Maastricht firmato da Andreotti insieme con gli altri Capi di Stato e di governo europei il 7 febbraio 1992. Il VII governo Andreotti finisce praticamente con lo scioglimento delle Camere da parte del Presidente Cossiga il 1° febbraio 1992 e le elezioni del 5 aprile, cui Andreotti non partecipa perché nominato senatore a vita dal Capo dello Stato il 1° giugno 1991.
I RAPPORTI
CON IL PARLAMENTO
Il Presidente Cossiga esercita la facoltà di rinvio delle leggi alle Camere (art. 74) con una certa intensità, anche a Camere sciolte. In ben 22 occasioni rimanda il provvedimento (nel 1991, per la prima volta, una legge di conversione di un decreto legge) al Parlamento con un messaggio motivato. Fa anche largo uso dei messaggi cosiddetti “liberi”, tra i quali si segnalano: il primo messaggio sul “complesso problema della giustizia” del 26 luglio 1990, che affronta il tema delle garanzie di indipendenza dei magistrati e l’organizzazione del Consiglio Superiore della Magistratura; il messaggio del 26 giugno 1991 sulla “inadeguatezza del nostro apparato istituzionale” e la conseguente necessità di riforme istituzionali, che, innovando la prassi, le Camere decidono di discutere (il dibattito, che impegna le Camere per tre giorni, conosce toni estremamente polemici); il messaggio del 27 gennaio 1992 sui problemi in tema di giustizia e della revisione delle norme sulla responsabilità disciplinare dei magistrati. Negli ultimi due anni del suo mandato Cossiga invia ben otto messaggi alle Camere, la maggior parte dei quali riguarda l’amministrazione della giustizia e la lotta alla criminalità organizzata. Tutti i messaggi hanno forma scritta, sono diretti al Parlamento e richiedono la controfirma del Presidente del Consiglio, anche quelli a contenuto libero. Solo il messaggio di insediamento è letto personalmente davanti al Parlamento. Con Cossiga continua la prassi di promulgare leggi formulando osservazioni e rilievi destinati prevalentemente al Governo, talora anche alle Camere, con raccomandazioni e segnalazioni in vista di possibili interpretazioni costituzionalmente conformi. Il Presidente Cossiga contrasta duramente l’abuso della decretazione d’urgenza, spesso utilizzata dai Governi come metodo ordinario di legislazione. Le osservazioni e i moniti rivolti al Governo si trasformano in veri e propri dinieghi di emanazione di decreti. Ferma è la condanna della prassi della reiterazione dei decreti-legge, che sarà dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale nel 1996. Ricordiamo poi che il Presidente può svolgere un’attività di tipo persuasivo, formulando al Governo, più raramente alle Camere, sollecitazioni circa iniziative legislative da intraprendere, decreti in corso di elaborazione o progetti di legge all’esame delle Camere. È quella che viene definita moral suasion, che può essere attuata tanto in via informale che in forma scritta.
IL CONSIGLIO SUPERIORE
DELLA MAGISTRATURA
E IL CONSIGLIO SUPREMO DI DIFESA
Dopo un primo incontro con i componenti del Consiglio Superiore della Magistratura il 27 giugno 1985 come presidente eletto, il Presidente Cossiga presiede a 13 riunioni. Il 6 marzo 1986 nelle Sale del Palazzo del Quirinale – Sala delle Feste, Sala Arazzi di Lilla, Sala del Bronzino – avviene la cerimonia del congedo dei consiglieri uscenti del CSM, e a seguire la seduta formale con i nuovi membri. E la stessa cerimonia si ripete il 24 luglio 1990. Si ricorda in particolare l’intervento del Presidente Cossiga alla cerimonia commemorativa del Giudice Rosario Livatino presso il Consiglio Superiore della Magistratura il 26 settembre 1990. Fin dall’inizio della Presidenza i rapporti fra Cossiga e il CSM sono contrastati: nel dicembre 1985 si arriva alle dimissioni – poi ritirate – di tutti i membri del Consiglio, in seguito all’intervento del Presidente per impedire il dibattito sulle affermazioni dell’allora Presidente del Consiglio Craxi sul ruolo dei giudici milanesi nel processo Tobagi. Più volte poi, nel biennio 1990-1991una situazione di conflitto contrappone Cossiga e il CSM, con minacce da parte del Presidente di sciogliere il Consiglio. Lo scontro si acuisce nel novembre 1991, originato da una proposta di ordine del giorno del vice presidente Giovanni Galloni: il braccio di ferro, durante il quale Cossiga minaccia nuovamente lo scioglimento, si conclude con il ritiro dell’ordine del giorno contestato, ma provoca uno stato di notevole tensione fra il Quirinale e la Magistratura, culminato nello sciopero proclamato dall’Associazione Nazionale Magistrati poche settimane dopo che riscuote straordinaria partecipazione.
Il Capo dello Stato ha il comando delle Forze Armate e presiede il Consiglio Supremo di Difesa (art. 87 della carta Costituzionale). Il Consiglio ha il compito di esaminare i problemi generali politici e tecnici attinenti alla difesa nazionale. Il Presidente Cossiga, nel corso del settennato, presiede 13 riunioni. Le riunioni del Consiglio si tengono al Palazzo del Quirinale nella Sala Arazzi di Lilla. Solamente la riunione del 31 luglio 1991 si svolge a Castelporziano. Fra il marzo e l’aprile del 1992 si riunisce una commissione per la ristrutturazione dei servizi di sicurezza del Consiglio Supremo di Difesa.