IL CERIMONIALE
DELL'ELEZIONE

Il 28 giugno del 1946 l’Assemblea Costituente deve decidere il nome del Capo provvisorio dello Stato: la sinistra e i laici propongono Benedetto Croce, la Democrazia Cristiana e le destre appoggiano l’anziano Vittorio Emanuele Orlando, presidente del Consiglio ai tempi della Prima Guerra Mondiale. Il nome di Enrico De Nicola riesce a mettere tutti d’accordo: liberale gradito sia a destra che a sinistra, di simpatie monarchiche e quindi garante per chi non si riconosce nel nuovo assetto istituzionale repubblicano, meridionale mentre alla guida del governo e dell’Assemblea ci sono due uomini del nord, De Gasperi e Saragat. De Nicola è eletto alla prima votazione con più del 70% dei consensi.
Famoso per le sue esitazioni e perplessità si riserva la notte per decidere se accettare la nomina. Alla fine accetta, ma De Gasperi è costretto a pregarlo, e il 1° luglio 1946, il giorno dell’insediamento, si presenta con un’ora e mezzo di ritardo.Il neo nominato Capo Provvisorio dello Stato giura fedeltà alla Repubblica a Montecitorio e, in questa occasione, pronuncia solo un brevissimo discorso di presa d’atto dell’incarico. Il 19 luglio ha poi luogo a Palazzo Giustiniani la presentazione del Corpo Diplomatico al Capo dello Stato: il Nunzio Apostolico monsignor Borgoncini Duca, in qualità di Decano, gli rivolge un indirizzo di saluto. La cerimonia si ripete il 1° gennaio 1948 quando De Nicola diventa Presidente della Repubblica.

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ENRICO
DE NICOLA

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IL MESSAGGIO
DI GIURAMENTO

De Nicola scrive poi un messaggio, letto da Saragat all’Assemblea Costituente il 15 luglio 1946: il più breve fra gli analoghi testi che saranno pronunciati a Montecitorio dai suoi successori, in linea con la sua chiara e sobria essenzialità. In esso giura di voler compiere la sua missione di Capo provvisorio dello Stato ispirandosi «ad un solo ideale: di servire con fedeltà e lealtà il mio Paese». Fa leva sul senso di unità nazionale da ritrovare al termine della guerra civile facendo appello a «tutte le energie vive della nazione», chiamando tutti a raccolta, anche coloro che avevano sbagliato. Non manca un accenno polemico all’atteggiamento delle potenze vincitrici nei confronti di un Paese che, dopo la svolta dell’8 settembre 1943, aveva lottato al loro fianco: «Ogni umiliazione inflitta al suo onore, alla sua indipendenza, alla sua unità provocherebbe non il crollo di una Nazione, ma il tramonto di una civiltà: se ne ricordino coloro che sono oggi gli arbitri dei suoi destini». De Nicola si augura poi che l’Assemblea Costituente giunga presto ad approvare la Costituzione, con la più ampia convergenza di consensi, per assicurare alle future generazioni un regime di «sana e forte democrazia, nel quale i diritti dei cittadini e i poteri dello Stato siano egualmente garantiti». La nuova Carta dovrà prestare particolare attenzione ai rapporti economico-sociali «attribuendo al lavoro il posto che gli spetta nella produzione e nella distribuzione della ricchezza nazionale».

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